Luigi Sturzo: la pace e la comunità internazionale
Di S.E. Mons. Michele Pennisi
18 gennaio 2023
Prolusione in occasione dell’evento “Luigi Sturzo: la pace e la comunità internazionale”, svoltosi presso la Sala Gonfalone, Palazzo Pegaso, Firenze, il 18 gennaio 2023
Nel 104° anniversario dell’Appello Ai Liberi e Forti del 18 gennaio 1919 sono lieto di parlare del contributo che don Luigi Sturzo, allora Segretario del Partito Popolare Italiano (PPI), ha dato alla trattazione dei problemi della pace, della guerra e della comunità internazionale.
In questi giorni in cui soffiano venti di guerra in Ucraina e in altre parti del mondo con il rischio di un nuovo conflitto mondiale, come paventato da Papa Francesco, che ha fatto sentire il grido della pace, dell’umanità che, come ha detto nel recente incontro con il Corpo Diplomatico, sta vivendo «la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti», è importante interrogarsi sul ruolo della comunità internazionale e su una autorità mondiale che possa intervenire in modo autorevole per garantire la pace.
Questo richiede la rivisitazione del concetto di sovranità nazionale e la creazione d’istituzioni multilaterali, che fissino regole più adeguate in campo non solo economico e finanziario ma anche politico e militare.
Le riflessioni elaborate da don Luigi Sturzo, soprattutto fra la prima e la seconda guerra mondiale, sui temi della pace, della comunità internazionale e sul superamento del diritto di guerra, costituiscono un contributo originale ed attuale alla costruzione di una civiltà nuova fondata su valori morali in vista della creazione di una autorità sovranazionale in grado di affermare il diritto sulla forza e di garantire una pace giusta fra le nazioni.
La sua forte istanza morale è coniugata all’interno di una insostituibile dimensione storico-politica che restituisce concretezza all’utopia della pace.
Il pensiero di Sturzo su pace e guerra è articolato e dinamico e conosce nel corso di mezzo secolo trasformazioni e sviluppi, risposte sempre più adeguate alla realtà storica passando dalla teoria della “guerra giusta” all’idea della dell’inutilità della guerra, a causa della sua moltiplicata capacità di distruzione, e alla inevitabilità della pace. Sturzo passa infatti da una posizione giustificazionista delle prime guerre coloniali dello Stato unitario e della stessa prima guerra mondiale fino al rifiuto totale della guerra, come strumento per dirimere i conflitti fra nazioni.
Il pensiero di Sturzo sulla pace fu provocato dalle particolari circostanze storiche del “secolo breve” caratterizzato da due guerre mondiali, dall’affermarsi di vari regimi totalitari in Europa e da alcune guerre particolari come la guerra coloniale d’Etiopia condotta dall’Italia e la guerra civile spagnola.
Alla evoluzione del suo pensiero contribuirono anche la ricchezza delle letture e dei contatti internazionali durante l’esilio londinese prima e americano dopo, che gli offrì l’opportunità di una riflessione più organica sui temi della pace e della guerra.
Questa riflessione, espressa in molti articoli, trovò una sintesi sistematica nell’opera La comunità internazionale e il diritto di guerra, pubblicata in inglese in Gran Bretagna nel 1929 e negli Stati Uniti nel 1930, e in francese nel 1931. Sarà stampata in lingua italiana solo nel 1954 e per molto tempo rimarrà scarsamente letta.
A questa opera seguirono L’Italia e l’ordine internazionale nel 1944 e Nazionalismo e Internazionalismo nel 1946.[1]
Le idee di don Luigi Sturzo rispetto a pace e guerra erano e sono ancora oggi troppo innovative e distanti dal pensiero politico contemporaneo e dalla elaborazione classica dello stesso pensiero cristiano sul tema della guerra giusta.
1. Le guerre coloniali
Ai tempi della prima guerra coloniale italiana in Abissinia il giovane Sturzo approva quella impresa con motivazioni religiose e patriottiche, comuni al movimento cattolico. Non diverse furono le ragioni che lo spinsero sedici anni dopo a sostenere la guerra italo-turca in Libia, a partire dalla prospettiva mediterranea del suo meridionalismo. Egli infatti era convinto che la conquista della Tripolitania avrebbe costituito un’importante chance per il Meridione per la possibilità di creare nuovi flussi migratori e commerciali che dal Mezzogiorno si irradiassero attraverso il mar Mediterraneo verso l’Africa e il Medio Oriente.
2. Primo conflitto mondiale
Alla vigilia dell’ingresso italiano nella prima guerra mondiale il sacerdote calatino, che era pro-sindaco di Caltagirone e segretario dell’Unione Popolare, fu favorevole all’intervento dell’Italia, perché intravide nella guerra una possibilità di trasformazione dell’Europa attraverso nuovi equilibri e l’affermazione della libertà per le nazioni. Egli scrisse che: «Era inoltre legittimo che in un’Europa ancora armata fino ai denti, dove l’influsso austro tedesco non poteva minimizzarsi, anche nella ipotesi di una sconfitta, l’Italia si fosse assicurata i suoi confini, quali Dante aveva notato nella Divina Commedia e la natura aveva segnato con le montagne».[2]
Egli mantenne questa idea non ostante gli interventi di condanna della guerra di Benedetto XV ai quali dedicò grande attenzione sottolineando il ruolo pacificatore della Chiesa e la sua equidistanza da tutte le fazioni in lotta.
Nella seconda metà del 1915 si adoperò affinché l’Azione Cattolica, pur mantenendo ufficialmente una posizione in sintonia con quella del Vaticano fondata sulla neutralità, sostenesse nell’ombra la politica del governo Salandra-Sonnino. Negli anni della guerra ricoprì la carica di Segretario dell’Opera nazionale per gli Orfani di Guerra.
Sturzo appoggiò l’intervento in guerra in una prospettiva diversa rispetto al “sacro egoismo” propugnato dal governo italiano, del quale criticò la posizione eccessivamente nazionalista, senza tener conto dei più alti interessi della comunità internazionale e dell’umanità in generale.
La guerra, secondo il prete calatino, avrebbe provocato una grande “palingenesi sociale” da cui doveva uscire sconfitta la vecchia politica che sfruttava il Mezzogiorno e che aveva bandito la religione dalla società civile.
3. Benedetto XV e Wilson
Dagli scritti e dai discorsi di Sturzo in occasione della prima guerra mondiale, incominciano ad emergere anche attente analisi dei problemi internazionali, che hanno come punto di riferimento soprattutto le indicazioni contenute nei messaggi di Benedetto XV ed in particolare nella famosa Nota ai capi dei popoli belligeranti del 1° agosto 1917. Il messaggio del Papa sulla “inutile strage” ha rappresentato un elemento importante nel processo di maturazione di Sturzo attorno ai temi di politica internazionale. Quel documento gli permette di compiere un notevole salto di qualità sui problemi della pace e della guerra, integrato nella sua visione riccamente articolata della società che sarà alla base della sua costruzione sociologica.
Il futuro fondatore del PPI commentò la nota di Benedetto XV del 1917 in una conferenza al circolo di San Pietro di Roma dal titolo Guerra e pace nella nota pontificia, nella quale emergono alcuni elementi nuovi, anticipatori delle successive sue prese di posizione di Sturzo e del Partito Popolare sui problemi internazionali del dopoguerra. Affermò: «Oggi ai popoli, che dopo che cesserà il presente conflitto, vorranno una pace giusta e duratura come la desidera il Papa, ai popoli provati dall’immensità della tragedia che viviamo e della quale non abbiamo interamente la percezione, ai popoli rifatti nella coscienza dei loro diritti e del loro destino sarà affidata la futura Società delle nazioni».[3]
Il sacerdote siciliano intravede, tra i bagliori della guerra, una nuova comunità internazionale, basata sul diritto e sulle legittime aspirazioni dei popoli e questa sua fiduciosa speranza sembra venir confermata dalle istanze del presedente degli Stati Uniti Wilson, il cui messaggio e i suoi quattordici punti, successivi di pochi mesi alla nota pontificia, trovano in Sturzo una eccezionale rispondenza.
Sturzo opera un raccordo tra le indicazioni di Benedetto XV e le proposte del presidente degli Stati Uniti per un nuovo assetto internazionale, basato non più sulla forza ma sul diritto e animato da una grande carica cristiana. «I quattordici punti di Wilson – affermò ancora nel novembre 1918 – che ricordano tanta parte della nota pontificia del 1 agosto 1917, contengono gli elementi palingenetici per l’avvenire dei popoli; e le precipitate riforme, nella convulsione della grande sconfitta dei popoli centrali, fa spazzare quegli ordinamenti che nelle tradizioni di potenza e di forza, ripetevano la vecchia parola di predominio».[4]
Il programma di Wilson era diventato, secondo il fondatore del PPI, espressione di uno stato d’animo collettivo, era entrato nella coscienza delle nazioni anche presso i popoli nemici e in guerra.
Sturzo non è però così ingenuo da escludere che queste basi ideali e democratiche fossero il velo per nascondere «interessi nazionali e plutocratici e per eccitare il sentimento umano e civile delle masse combattenti sui vari fronti di guerra o per ottenere dagli altri popolo neutrali o incerti l’adesione all’Intesa o i mezzi finanziari o gli appoggi morali per continuare la lotta».
Forte della sua convinzione, maturatasi dopo la tragedia della prima guerra mondiale, tragedia non prevista in un’ampiezza così devastante, Luigi Sturzo, a guerra conclusa, si sente chiamato a riflettere su come strutturare il sistema internazionale a partire dalla costatazione che quel sistema aveva fallito per non aver saputo mantenere l’equilibrio e assicurare stabilità e pace e per le gravissime conseguenze in campo economico e politico, che portarono all’avvento del Fascismo.
4. Il programma del Partito Popolare Italiano
La sintesi operata da Sturzo fra il pensiero di Benedetto XV e il programma di pace wilsoniano, riaffermata anche nell’appello e nel programma del partito popolare, rappresenta uno dei più interessanti aspetti del pensiero sturziano ed una sostanziale differenziazione nei confronti di un diffuso atteggiamento di diffidenza nei confronti del presidente degli Stati Uniti e della Società delle Nazioni da parte di una considerevole fascia del mondo cattolico che vedeva Ginevra, sede della Società delle Nazioni, come l’Anti-Roma.
Nell’appello al Paese del Partito Popolare pubblicato il 18 gennaio del 1919 si colgono interamente queste indicazioni: «Sosteniamo il programma politico morale, patrimonio delle genti cristiane, ricordato prima da parola augusta e oggi propugnato da Wilson come elemento fondamentale del futuro assetto mondiale, e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli dominatori e maturano le violente riscosse: perciò domandiamo che la società delle nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l’avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del lavoro, la libertà religiosa contro ogni oppressione di setta, abbia la forza delle sanzioni e dei mezzi per la tutela dei diritti dei popoli contro le tendenze sopraffattrici dei forti».[5]
L’attenzione al nuovo quadro internazionale e al ruolo centrale che nella nuova Europa dei popoli avrebbe dovuto svolgere la Società delle Nazioni, doveva legarsi, secondo Sturzo, al tentativo di superare i vecchi egoismi ed evitare alla pace il carattere punitivo nei confronti dei paesi sconfitti che le potenze vincitrici intendevano imporre. Sturzo coglie, con grande intuito politico, i rischi di questa impostazione egoistica, che veniva a minare profondamente il futuro assetto internazionale del dopoguerra.
«È impossibile – disse con accenti profetici nel 1923, al congresso di Torino –…, senza il risorgimento economico degli stati vinti avere pace e benessere in Europa».[6]
5. L’esilio: eliminabilità della guerra e comunità internazionale
Il lungo soggiorno in Inghilterra pose Sturzo in una condizione privilegiata come osservatore esterno della realtà mondiale in quegli anni. Gli furono offerte le condizioni di studio e di riflessione che ebbero come traguardo conclusivo la stesura del libro La comunità internazionale e il diritto di guerra, che resta un’opera centrale per comprendere il pensiero politico in campo internazionale di Sturzo.
L’opera non ottenne il nihil obstat da parte dell’autorità ecclesiastica della diocesi di Westminster con la motivazione che l’opera di don Sturzo si opponeva «all’intera scuola scolastica dei moralisti» che ritenevano il diritto naturale «immutabile, necessario e stabile»,[7] mentre per il sacerdote siciliano «il diritto di guerra è un diritto storico come tutti i diritti inerenti agli istituti umani derivanti da rapporti determinati e concretizzati ed evolventisi secondo il processo storico; non può quindi affermarsi che la guerra sia di diritto naturale o che derivi dal diritto naturale preso in senso astratto e oggettivo».[8] Risulta perciò evidente come anche l’istituto della guerra, essendo collegato alle strutture sociali, sia destinato a cambiare nel tempo e forse, questo è l’auspicio, a scomparire. Anche al direttore della Civiltà Cattolica p. Enrico Rosa la distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta appariva ormai logora.[9]
La teoria della guerra giusta come del resto anche le altre guerre che avverranno dopo la prima guerra mondiale saranno oggetto di critica da parte di Sturzo.
Le sue obiezioni muovono da una prospettiva ben precisa: valutare la rispondenza della teoria alla pratica della guerra; analizzare la logicità interiore di essa considerata sia fuori dal processo storico che dentro; approfondire i concetti base della teoria alla luce di alcune osservazioni etico-religiose.
La riflessione di Sturzo sul tema della guerra parte dal seguente interrogativo: «se possa darsi una coscienza generale che accetti o propugni la proscrizione della guerra come un crimine per tutti i paesi e se tale coscienza si possa concretizzare in una organizzazione internazionale che la escludesse dagli istituti giuridici riconosciuti in modo tale da garantirsi dai casi criminosi che potessero accadere».[10]
Coloro che non credono ciò possa avvenire portano argomenti di carattere storico e politico che Sturzo illustra e cerca di confutare.
Il primo di carattere storico poggia sull’idea che la storia abbia dimostrato l’impossibilità del superamento dell’istituto della guerra. Sturzo risponde che l’avvenire non appartiene alla storia. Se è stato così fino adesso, non è detto che lo debba essere anche in futuro. Egli ritenne che il diritto di guerra può essere superato come sono stati superati istituti giuridici come la schiavitù, la poligamia, il duello, la pena di morte.[11]
L’argomento di carattere politico parte dalla convinzione che la comunità internazionale possa fare a meno del diritto di guerra soltanto se esiste un’autorità sovranazionale in grado di esercitare un potere coercitivo.
Tuttavia se tale autorità non fosse particolarmente forte, sarebbe destinata a fallire come avvenne durante il medioevo per il papato e l’impero e nel secolo XX per la Società delle Nazioni. Se al contrario fosse dotata della necessaria forza, si tradurrebbe in una dominazione egemonica impossibile da tollerare per gli stati, che inevitabilmente le si rivolterebbero contro e la annienterebbero. La conclusione è che la guerra non può essere eliminata. In realtà, secondo Sturzo, questo argomento non porta necessariamente a queste conclusioni, bensì alla affermazione che dalla comunità internazionale, come da ogni comunità sociale, non è possibile togliere quei momenti di lotta sociale in quanto la lotta è un fenomeno perenne della società, come sostenne il giovane Sturzo all’inizio del secolo nel saggio La lotta sociale legge di progresso. Nel fondatore del PPI c’è la convinzione che gli scontri sociali, ivi compresi quelli fra stati, possano consumarsi senza il ricorso alle armi attraverso altre strade dettate dal diritto.
Egli ripensò al senso della guerra non come fatalità inevitabile, ma come frutto di una precisa volontà umana e alla improponibilità della guerra giusta nel XX secolo e alle strade obbligate per costruire la pace attraverso la creazione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali come la Società delle Nazioni.
Scrive Sturzo: «la guerra non è fatale, non è necessaria, non è giusta ma è volontaria e la responsabilità ricade sugli uomini che la promuovono o vi contribuiscono».[12]
L’elemento principale che scatena una guerra non è la necessità, ma la volontarietà; questo è un punto sul quale Sturzo preme con insistenza.[13]
Per il prete calatino se uno stato «veramente non volesse la guerra, troverebbe nella presente organizzazione statale i mezzi adeguati per risolvere pacificamente ogni vertenza. Esiste per noi una volontarietà sociale come organizzazione atta alla guerra, una volontarietà individuale come decisione, una volontarietà politica come preparazione e una volontarietà morale come attuazione».[14]
Da questo ripudio della guerra deduce l’urgenza di individuare strumenti di soluzione dei conflitti diversi dal conflitto armato.
Sturzo riconosce che la vita politica contiene in sé elementi di lotta sociale, ma questa lotta non eliminabile non deve necessariamente portare alla violenza e alla guerra, in quanto occorre «superare completamente il dualismo antagonistico di ragione e forza con una sintesi attraverso la razionalizzazione della stessa forza»: «il punto fondamentale deve essere che alla forza materiale delle armi venga sostituita la forza morale del diritto».[15]
La teoria della eliminabilità della guerra non deve portare solo il negare l’inevitabilità del conflitto, bensì deve attuare «l’idea morale di una solidarietà pacifica dei popoli, già inizialmente concretizzata nella Società delle Nazioni, nelle diverse unioni di stati, nella serie di patti e negli sforzi pratici per l’abolizione della guerra».[16]
6. La Società delle Nazioni
Nell’aprile del 1938 sul giornale inglese Tablet scriverà «io non sono mai stato e non sono un pacifista nel senso corrente. Io sono per l’eliminazione della guerra dai mezzi legittimi di tutela del diritto, perché vi sono altri mezzi di tutela del diritto, come la comunità delle nazioni, l’arbitrato e il disarmo. In ciò sono in ottima compagnia con Benedetto XV».[17]
Sturzo non si affida a concezioni pacifiste, ma ventila l’opportunità di costituire aggregazioni federative regionali a livello continentale, idonee a rafforzare l’organizzazione internazionale a cominciare dall’Europa, rifare l’unità europea su basi di giustizia e di pace, con un’organizzazione forte e permanente.[18]
Quindi il superamento della guerra è basato non soltanto su motivi ideali o religiosi, ma su un sistema internazionale affidato alla guida di una organizzazione internazionale a carattere universale.
Questo porta al superamento del nazionalismo per cui quando si tratta di costruire rapporti internazionali «l’idea di nazionalità, legata a quella irrazionale e ideologica di popoli giustapposti… diviene una terribile camicia di Nesso».[19]
Sturzo proclama l’esigenza di valori condivisi per la tutela dell’uomo e ritiene che la comunità internazionale tenda «nel suo sviluppo alla completa conquista di tutto il mondo in un complesso di rapporti normalizzati che chiamiamo diritto internazionale, in un possibile regime organizzato di cui oggi è inizio, debole ma impotente, la Società delle Nazioni, in una civiltà prevalente che, nonostante tutte le negazioni, è civiltà cristiana».[20]
Di qui l’esigenza di «dar luogo ad un sentimento di maggiore comunione fra i popoli»[21] di un vincolo che si può esprimere con la parola “amicizia”.[22]
La promozione della tolleranza porta a confluire nella interdipendenza economica e nella comunanza di possibili obiettivi per giungere alla funzione operativa. Per dar forza ad una comunità internazionale organizzata Sturzo prende atto della «tendenza incoercibile della grande economia a internazionalizzarsi».[23] Una funzione di pungolo spetta alle forze morali per preconizzare «un internazionalismo senza più guerre»[24] nell’ambito di un «regime di unione e di solidarietà internazionale fra stati interdipendenti».[25]
Sul piano concreto Sturzo analizza in modo preciso le articolazioni operative della Società delle Nazioni e più tardi delle Nazioni Unite cercando di valutarne la capacità coercitiva «per difendere il buon diritto e la morale internazionale offesa».[26]
La coazione da parte della organizzazione internazionale può costituire la legittimazione all’uso della forza e quindi si differenzia nettamente dal pacifismo imbelle, in quanto conviene che l’azione di forza possa essere necessaria a condizione che, partendo dalla assenza della legittimità della guerra, la forza sia utilizzata dall’organizzazione internazionale a beneficio di tutti, quasi che fosse un’azione di polizia.
Pur nella convinzione che la guerra come istituto giuridico possa decadere, si dovrebbe «poter arrivare ad un sistema internazionale nel quale la guerra non sia più un diritto, si potrebbe concentrare in un’autorità internazionale un potere che superi quello dei singoli stati, arrivare cioè ad un vero superstato».[27]
Il realismo prende il sopravvento per una prima analisi dell’equilibrio fra forza coercitiva e stati in un sistema affidato all’autorità di una organizzazione internazionale.
Sturzo analizza le organiche deficienze dello statuto della Società delle Nazioni e tuttavia individua una via di uscita dal dilemma tra l’indipendenza-sovranità dei singoli stati e la Società delle Nazioni che non può non essere principalmente morale e politica più che giuridica. Pone in luce la contraddizione di coloro che ritengono «che non possa esservi una vera autorità sociale senza potere coercitivo mentre poi simultaneamente negano alla Società un vero potere adeguato allo scopo».[28]
Se quindi si può arrivare convenzionalmente a dichiarare illegittima la guerra, Sturzo si pone questi due quesiti ancora validi: «può una organizzazione internazionale godere di tanta autorità morale, giuridica e politica, da impedire ogni guerra, fra gli stati associati?».[29]
Il secondo quesito è ben altro: se la Società delle Nazioni o altro organismo societario acquista tale potere sugli stati associati, non si formerà «una egemonia di stati che soverchierà gli altri?».
Nel cercare di rispondere all’interrogativo su come evitare che il potere superstatale non si traduca in una «dominazione egemonica intollerabile, che, a lungo andare, cadrebbe a pezzi per la reazione che desterebbe in alcuni stati»[30] Sturzo è convinto che nessuna organizzazione internazionale potrà «mai sopprimere le differenze fra stati grandi e stati piccoli, fra stati potenti e stati deboli».[31]
Quindi «se è utopico esigere la soppressione di ogni contrasto e l’eliminazione di ogni tentativo di egemonia o prevalenza di uno o più stati sugli altri»,[32] è comprensibile la distinzione nella Società delle Nazioni tra seggi permanenti e seggi non permanenti.
La conclusione di Sturzo è che il rischio dell’affermarsi di egemonie è insolubile[33] e che al contrario «l’organizzazione internazionale sia per i popoli… moralmente e materialmente, la meno onerosa per dirimere le vertenze e la più vantaggiosa per ridurre su un piano razionale le tendenze egemoniche e dominatrici di un popolo sull’altro e per attenuarne la portata».[34]
Nell’opera Comunità internazionale e diritto di guerra Sturzo vede nello Statuto della Società delle Nazioni l’obiettivo principale per il superamento della necessità dei conflitti, ma ne valuta anche interrogativi e condizionamenti.
Sturzo affronta un’altra questione. Come ottenere una «convenzione sincrona e universale» e come avere ragione delle perplessità di molti stati nell’accettare la soppressione del diritto di guerra per far sì che l’organizzazione internazionale possa pienamente dispiegare la sua funzione?
Per arrivare alla completa eliminazione della guerra occorrerebbe un altro passo audace: che un gruppo di stati, i più coraggiosi e i più civili, fossero disposti a rinunziare a tutte le guerre, a qualunque guerra, senza eccezione o riserve e, contemporaneamente, dichiarassero di volere essere riconosciuti come stati disarmati e neutralizzati, quali ne fossero gli eventi internazionali.
Sturzo è convinto che la simultaneità libera e volontaria di tutti gli stati in una rinunzia totale è pressoché impossibile; ma bisogna attendere «un periodo di sviluppo… lento e laborioso»,[35] auspicando solo che all’interno dell’organizzazione internazionale maturi in alcuni stati l’impegno a un disarmo[36] unilaterale che apra la strada all’affermazione di idee nuove ed esemplari.[37]
Dunque per mantenere l’ordine mondiale è necessaria «un’organizzazione internazionale della forza armata […] con scopi […] esclusivamente di polizia».[38]
Il disarmo non può essere in realtà che una riduzione degli armamenti e non la loro completa abolizione.[39]
È soprattutto necessario un orientamento psicologico dei popoli e degli stati verso un sistema internazionale che elimini la guerra, come un atto di fede nella pace, e come un mezzo necessario per l’evoluzione della comunità internazionale.[40] La riduzione degli armamenti non è il disarmo universale.
7. La teoria di Sturzo sull’immoralità della guerra applicata ad alcuni conflitti concreti
Sturzo esprime un giudizio totalmente negativo sulla guerra coloniale d’Etiopia portata avanti dal regime fascista sia per le armi utilizzate sia per l’esaltazione religiosa della vittoria. Egli inoltre nutre un’avversione verso la militarizzazione della società italiana[41] come mostrano ad esempio le seguenti parole che usò: «coloro che approvano le guerre di Abissinia e di Spagna avranno una pesante responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini».[42]
Sturzo condanna senza condizioni la guerra civile spagnola. In un articolo del 6 settembre 1936 scrive: «La Chiesa è soltanto dalla parte delle vittime innocenti, cadute da una parte e dall’altra dei due fronti; essa è solo con colui che soffre; con colui che muore, perché muore, dai due lati; essa è anche con coloro che sono trascinati all’odio fanatico contro la religione per ignoranza, per assenza di formazione religiosa, per smarrimento; è con essi perché fino all’ultimo respiro essi pure hanno un’anima da salvare».[43]
La complessa situazione in Spagna consente a Sturzo anche di precisare quello che egli intende per pace: «La pace obiettivamente è la tranquillità nell’ordine; psicologicamente è la concordanza dei cittadini in un sistema accettato dalle due parti combattenti come giusto per gli uni e per gli altri. La pace vittoriosa che schiacci il nemico non è pace; solo è pace il compromesso basato sull’equità che venga a togliere i motivi della guerra e a restaurare l’ordine».[44]
8. La buona politica e la pace
Don Sturzo alla teoria di una presunta inevitabilità della guerra contrappone le ragioni della buona politica caratterizzata dal primato dell’etica che trova nell’amore cristiano il suo nucleo fondamentale.
Sono interessanti alcuni articoli che Luigi Sturzo pubblicò durante l’esilio sul giornale Popolo e Libertà di Bellinzona. Di fronte alle atrocità delle guerre moderne egli scrisse: «Occorre sapere affermare la teoria cristiana della pace e guardare in faccia le guerre moderne, distruggitrici di ogni ordine e di ogni bene morale e materiale, i cui effetti pesano per più generazioni, la cui mostruosità è centuplicata dai mezzi scientifici che si impiegano a danno non solo dei nemici, ma del proprio popolo: perché ormai vincitori e vinti sono sotto la stessa legge di distruzione».[45]
Nel 1937 a proposito di una settimana di preghiere per la pace indetta dai giovani cattolici europei, scrisse: «Se ci fosse una fede viva, quella che trasporta le montagne, noi avremmo la pace di Dio sia nelle nostre anime, sia nella società sia fra i popoli. Allora la nostra preghiera sarebbe esaudita. Ma la fede manca: quanti pensano che basti alla preghiera per la pace? Pochi, pochi. Perché non comprendono che la preghiera non è solo quella di prostrarsi in chiesa e stendere le mani a Dio; ma quella di attuare praticamente quell’amore di Dio e al prossimo che la preghiera esprime. Oggi sembra che non la pace si cerchi, né per la pace si preghi, ma per la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro, uno esaltato, l’altro disprezzato o odiato in nome d’ideali profani (fascismo o comunismo), più che in nome dell’amore di Dio e del prossimo».[46]
Don Luigi Sturzo scrisse nel 1938 in un articolo: «L’ordine internazionale quello naturale e ancora più quello cristiano non può poggiare sull’immoralità elevata a principio, quale sarebbe se si ammettesse che la politica internazionale non ha né caratteri né limiti morali, e che gli uomini che fanno la politica internazionale, per ciò stesso, non sono obbligati a osservare la legge morale. […] La morale cristiana, anche nell’ordine internazionale non è altro che “verità, giustizia e carità”. […] Quando si approvano le aggressioni, si lodano le guerre riuscite, anche se ingiuste, si accettano le violazioni dei trattati, si difendono i bombardamenti aerei contro le città e i villaggi indifesi e fuori della zona di guerra, o comunque fatti per terrorizzare le popolazioni civili e non i combattenti; quando si irride a tutti gli sforzi fatti o da fare per costruire una comunità degli stati, […] quando si basa la società sulla forza, sul dominio di razza, sull’oppressione delle minoranze, dei dissidenti, dei deboli, allora non si ascolta la chiesa, non si obbedisce al vangelo, non si gettano le basi di un vero ordine internazionale, non si potrà mai ottenere la pace, quella che la Chiesa prega dicendo: Da pacem, Domine, in diebus nostris».[47]
Gli argomenti sturziani riguardo al superamento della concezione di una “guerra giusta” e all’impegno politico per la pace si possono sintetizzare in alcuni punti:
– la politica è buona solo quando è “retta” ossia si richiama ai valori morali e innanzitutto al rispetto della persona umana;
– le nazioni devono essere, in alcuni casi, sottoposte a precisi limiti politici da parte di un’organizzazione internazionale che abbia un’autorità morale universalmente riconosciuta;
– la Società delle Nazioni è di fondamentale importanza per una cultura politica in favore della pace; la politica deve indirizzare l’economia e non viceversa; la necessità di un’educazione e un’autoeducazione delle persone a partire dai giovani a una cultura di pace alla luce dell’universalismo evangelico.
9. Secondo conflitto mondiale e l’ONU
Il nuovo approccio di Sturzo di fronte alla guerra lo ritroviamo anche in occasione del secondo conflitto mondiale.
Don Sturzo leggeva nella seconda guerra mondiale uno scontro fra ideologie: quella della forza contro quella del diritto e della libertà. Alla fine, dopo quattro anni e mezzo e milioni di morti, ha vinto il diritto.[48]
I suoi numerosi articoli dopo il 1941 si soffermano sull’approfondimento dello Statuto delle Nazioni Unite, ma senza sottoporlo alla puntuale critica alla quale si era dedicato per lo statuto della Società delle Nazioni.
Sturzo ribadisce il valore morale di una organizzazione internazionale che renda inutile o non necessaria la guerra
Osserva che l’ONU ripeterebbe l’equivoco della Società delle Nazioni qualora si accettassero paesi come il Terzo Reich o l’Italia fascista o una Russia bolscevizzata.[49] Interessante una sua considerazione: se è giusto pretendere che la politica possa intervenire per imporre una democrazia: «non era saggia politica assumere questi paesi di struttura diversa ed ostile ai propri associati alla Lega delle Nazioni»,[50] cosa che avverrà nelle Nazioni Unite con il risultato di una mancanza di omogeneità in seno all’ONU.
Concorda all’inizio sulle clausole che nello Statuto delle Nazioni Unite attribuiscano ad alcune potenze un maggiore potere in quanto assumono una maggiore responsabilità per poi avanzare critiche aspre quando scrive nel 1946 che l’ONU «è nata con l’equivoco di una associazione libera e democratica» mentre invece non è né libera né democratica ma dittatoriale in quanto basata «sulla menzogna di una sovranità mondiale che non esiste; perché il diritto di veto elide ogni attività sovrana per dar luogo ai penosi e compensativi compromessi e finirà nell’inganno di una pace che non potrà essere raggiunta perché minata dagli stessi Tre Grandi che si sono attribuiti tutti i poteri e tutti i vantaggi della dominazione del mondo».[51]
Con preveggenza osserva con amarezza che «nonostante che l’ONU e le conferenze dei tre e dei cinque, sono accaduti fatti di una barbarie inaudita»[52] quali quelli della deportazione e trasferimenti di popolazioni a migliaia e a milioni.
Se riconosce che un progresso stato fatto in confronto alla Società delle Nazioni, il «disgraziato diritto di veto»,[53] come lo chiama è tale da vanificare ogni decisione.
Nel disarmo nutre poche speranze perché non vi sarà reciproca fiducia soprattutto nel campo delle verifiche e dello scambio aperto di informazioni sugli armamenti: non è ancora spuntato il giorno «in cui finiranno nel campo dell’Organizzazione internazionale, l’equivoco, la menzogna, l’inganno».[54] Del resto con le Nazioni Unite di «disarmo non si parla più».[55]
Richiamandosi con insistenza al significato delle dichiarazioni alleate delle finalità della guerra, finalità di etica internazionale, Sturzo non le ritrova riprodotti nel testo della Carta dell’ONU e questo è un profilo negativo.
Non ne viene peraltro scalfito il profondo convincimento, centrale nel pensiero di Sturzo, che l’organizzazione universale degli stati debba essere il cardine di un sistema internazionale in grado di rinunciare alla guerra.
Sturzo dopo la seconda guerra mondiale vedrà i limiti di una pace che non risolve alla radice i problemi della guerra, anzi ne pone di nuovi. Nella primavera del 1945 scriverà come «la coscrizione e gli armamenti saranno la contropartita dell’onore di appartenere alla Pentarchie e di avere il diritto di veto» e aggiunge «oggi l’Onu è impotente a dare forza di legge ai principi enunciati nella carta e renderli effettivi e rispettati». Si tratta di un testo nel quale Sturzo dimostra una straordinaria capacità di previsione delle dinamiche della futura guerra fredda che governeranno per decenni la politica internazionale e saranno causa della corsa agli armamenti in grado di provocare la costruzione di arsenali smisurati le cui armi avrebbero potuto distruggere più volte la terra.
Nel 1953 pubblica l’introduzione alla traduzione italiana dell’opera Comunità Internazionale e il diritto di guerra. La guerra viene denunciata come frutto della personale responsabilità umana, prodotto di una illusione di potenza che perpetua una ininterrotta catena di guerre nelle quali vinti e vincitori sono condannati a condividere – anche e non solo sotto la luce spettrale di Hiroshima – scrive: «L’uomo ha scelto la guerra credendola fatale; ha organizzato la pace come desiderabile; ha ripreso la guerra come necessaria; ritorna alla pace perché imposta; e così una storia che non cessa mai».[56]
Sturzo contrappone le ragioni della politica e il primato dell’etica e il primato della pace integrale contro l’illusione che attraverso la guerra si possa giungere alla vittoria.
Si tratta di una pace che agisce contemporaneamente e in modo complementare sulla politica degli armamenti verso un disarmo reale, sulla politica della relazione fra stati attraverso tutte le forme possibili di integrazione, cooperazione, unione e organizzazioni internazionali, attraverso la formazione dei cittadini che punti al disarmo delle coscienze
Alla vigilia della seconda guerra mondiale scrisse nel giugno del 1937: «[…] noi non crediamo alla necessità di alcuna guerra, sia essa fatta in nome della religione o in nome della nazione; in nome del diritto o in nome della patria. […] Lo spirito cristiano deve soffiare nella vita sociale e politica allo stesso modo e con la stessa efficacia che nella vita personale e familiare. Esso ci porta a dare importanza ai valori morali anche nei rapporti fra i popoli; a cercare le soluzioni pacifiche; a evitare i massacri di guerra. Le grandi rivoluzioni morali (e questa sarà una) cominciano da piccoli e incerti inizi e per la fede di pochi. La fede che la guerra non è più legittima (perché è evitabile); non è più necessaria (perché non è legittima); non è più fatale (perché non è necessaria), è la fede che oggi ci vuole».[57]
Egli pone a fondamento dell’impegno per la pace una concezione etica internazionale da far maturare nelle coscienze dei popoli.
Sono passati decenni da quando Sturzo enunciava le sue teorie sulla fine del diritto di guerra e sulla necessità di una comunità internazionale eppure, come dimostrano i fatti internazionali di questi ultimi tempi, esse rimangono ancora estremamente attuali. Il tanto sperato ripudio dell’istituto della guerra da parte dell’umanità sembra ancora lontano, e l’insegnamento del sacerdote di Caltagirone, fondato su un maggiore senso della morale nelle decisioni politiche, un maggiore coraggio nelle scelte dei governi e una maggiore volontà di costruire un sistema nuovo di convivenza dei popoli, non manca di affascinare.
10. Conclusione
Il pensiero di don Luigi Sturzo sul ripudio della guerra e la promozione della pace è di grande attualità in questo momento drammatico di fronte alla “guerra mondiale a pezzi”, evocata da papa Francesco.
Dopo la seconda guerra mondiale si coltivava la speranza utopica di sviluppare un governo del mondo che garantisse la pace fra gli stati. Tra i cattolici basta citare il sindaco di Firenze Giorgio la Pira e tra i laici Aldo Capitini e Norberto Bobbio.[58]
In un contesto internazionale caratterizzato da un “crinale apocalittico” dominato dallo scontro tra le due superpotenze e dall’incubo nucleare, La Pira, alla logica del conflitto, oppone la supremazia del dialogo. Un dialogo cercato con tutte le sue forze nei paesi dell’Europa dell’Est, in Asia, in America Latina e in Africa. In questo sforzo incessante per il dialogo, il sindaco di Firenze traccia una strada: è il “sentiero di Isaia”. Un sentiero di pace che si proponeva di arrivare al disarmo generale trasformando «i cannoni in aratri ed i missili e le bombe in astronavi».
Della necessità di pervenire alla costituzione di una “autorità” mondiale in grado di costruire una comunità delle nazioni si è occupato il magistero sociale della Chiesa. La Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII di cui ricorre il 60° anniversario propugna la creazione d’istituzioni su scala planetaria e la formazione progressiva di un’autorità politica mondiale, in vista di un bene comune universale, quale è la sicurezza e dalla pace mondiale.[59]
Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa si precisa che è essenziale che tale autorità sia il frutto di un accordo e non di un’imposizione, e non sia intesa come “un super-stato globale” e si precisa che questa «autorità politica esercitata tra la Comunità internazionale deve essere regolata dal diritto, ordinata al bene comune e rispettosa del principio di sussidiarietà».[60]
Il modello di organizzazione internazionale, postulato dal magistero ecclesiale, si limita all’indicazione di un punto di riferimento ideale, che nell’attuale fase di sviluppo del fenomeno dell’interazione istituzionale degli stati, risulta ancora privo di efficaci poteri, ma che si ispira a formule di cooperazione multilaterale suscettibili di ulteriori sviluppi.
Occorrono istituzioni mondiali dove sia possibile costruire strategie comuni per la soluzione dei problemi comuni a tutta l’umanità. Non si tratta quindi di trovare meccanismi che assicurino la convivenza tra gli stati, ma di creare istituzioni comuni.
Non si può pensare a una società perfetta ma perfettibile. Per questo sosteneva nel 1947 Jacques Maritain, «il primo obbligo che incombe agli uomini di oggi è impegnarsi con tutte le proprie forze per rendere possibile ciò che è necessario».[61]
[1] L. STURZO, La Comunità internazionale e il diritto di guerra (1928), Zanichelli, Bologna 1954 (abbr. CIDG); ID., L’Italia e l’ordine internazionale, Einaudi, Torino 1946; ID., Nazionalismo e intrenazionalismo (1946), Zanichelli Bologna 1961; cfr. F. MALGERI, “L’opera di Sturzo per la comunità internazionale dalla Società delle Nazioni all’O.N.U.”, in ISTITUTO DI SOCIOLOGIA “LUIGI STURZO” CALTAGIRONE, Luigi Sturzo e la comunità internazionale, Atti del Quinto Corso della Cattedra Sturzo (1985), Catania 1988, pp. 5-21; G. DE ROSA, I problemi dell’organizzazione internazionale nel pensiero di Luigi Sturzo, in AA.VV. Luigi Sturzo e la democrazia europea, Editori Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 5-25; A. FRUCI, La Comunità internazionale nel pensiero politico di Luigi Sturzo, Aracne Editrice, Roma 2009.
[2] L. STURZO, L’Italia e l’ordine internazionale, cit., p. 20.
[3] Cit. in F. MALGERI, “L’opera di Sturzo per la Comunità internazionale”, cit., p. 8.
[4] L. STURZO, “I problemi del dopoguerra”, in I Discorsi politici, Roma 1958, p. 352.
[5] Gli Atti dei congressi del partito popolare italiano, Morcelliana, Brescia 1969, p. 35.
[7] Cfr. C.A.GIUNIPERO, Luigi Sturzo e la pace, Guerini e associati, Milano 2009, p. 130.
[9] Cfr. D. VENERUSO, “Esiste una guerra giusta?”, in ISTITUTO DI SOCIOLOGIA “LUIGI STURZO” CALTAGIRONE, Luigi Sturzo e la comunità internazionale, Atti del Quinto Corso della Cattedra Sturzo (1985), Catania 1988, pp. 33-54.
[10] L. STURZO, La comunità internazionale e il diritto di guerra, Bologna 1954, p. 185.
[13] L. STURZO, La comunità internazionale e il diritto di guerra, cit., p. 85.
[15] L. STURZO, Miscellanea Londinese, vol. IV, Zanichelli, Bologna 1974, p. 151.
[26] Miscellanea Londinese, IV, cit., p. 189.
[42] Cfr. A. FRUCI, La comunità internazionale nel pensiero di Luigi Sturzo, cit. pp. 95-100.
[43] L. STURZO, in L’Aube, Parigi, p. 39; cfr. A. FRUCI, op. cit., pp. 101-113.
[44] Miscellanea Londinese, vol. IV, cit. p. 72.
[45] “I cattolici e la pace”, in Popolo e Libertà, Bellinzona, 30 luglio 1936.
[46] “Una settimana di preghiere per la pace”, in Popolo e Libertà, Bellinzona, 6 novembre 1937.
[47] “L’ordine internazionale e la pace”, in Popolo e Libertà, Bellinzona, 18 agosto 1938.
[48] Cfr. F. PIVA, F. MALGER, La vita di Luigi Sturzo, Cinque Lune, Roma 1972, pp. 370-375.
[49] L. STURZO, La mia battaglia da New York, Garzanti, Milano 1947, pp. 279-808 (abbr. BNY).
[52] Nazionalismo e Internazionalismo, cit., p. 222.
[53] La Comunità internazionale e il diritto di guerra, cit. p. XXXIII.
[55] Nazionalismo e Internazionalismo, cit., p. 223.
[57] “Guerra e pace”, in Miscellanea Londinese (1937-1940), vol. IV, Zanichelli, Bologna 1974, pp. 70-71.
[58] Cfr. N. BOBBIO, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1984; M. CARACCIOLO, Aldo Capitini e Giorgio La Pira. Profeti di pace sul sentiero di Isaia, Milella, Lecce 2008.
[59] GIOVANNI XXIII, Pacem in Terris, nn. 44-48, in I Documenti sociali della Chiesa. Da Pio IX a Giovanni Paolo II (1864-1982), Massimo, Milano 1983, pp. 768-772.
[60] PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 441.
[61] J. MARITAIN, “El camino de la paz. Posibilitates de cooperaciòn en un mundo dividido”, Messaggio inaugurale, II Conferenza Internazionale dell’UNESCO, Città del Messico, 6 novembre 1947.
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